In parlamento
Manovra, nuovo stop ai grandi capitali in farmacia con un emendamento a firma Sileri. Il punto sulle catene in Italia e Ue
di Rosanna Magnano
24 Esclusivo per Sanità24
Il Movimento 5 stelle torna alla carica contro la presenza delle società di capitali internazionali nel settore delle farmacie, consentita dall'ultima legge sulla concorrenza del 2017. Dopo il primo tentativo andato a vuoto alla Camera, da parte dell'onorevole Giorgio Trizzino - che ha visto espunto il proprio subemendamento alla legge di Bilancio, in quanto di natura ordinamentale - ci sarebbe infatti una proposta presentata dal presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato, Pierpaolo Sileri.
Gli emendamenti presentati in commissione Bilancio del Senato non sono ancora disponibili al pubblico ma il testo visionato in anteprima da Sanità 24 riprende i contenuti dell'emendamento Trizzino.
Con una modifica alla legge 362/1991 sul riordino del settore farmaceutico, all'articolo 7 che riguarda la titolarità delle farmacie si aggiunge il comma 2-bis dove si prevede che «i soci rappresentanti almeno il 51 per cento del capitale sociale e dei diritti di voto, debbano essere farmacisti iscritti all'albo o società interamente detenute da farmacisti iscritti all'albo».
Se questa condizione non viene rispettata, la società va sciolta, a meno che non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci farmacisti professionisti nel termine perentorio di sei mesi. In caso di scioglimento della società, viene meno anche l'autorizzazione all'esercizio di ogni farmacia di cui la società sia titolare.
Entro tre anni sono tenute a conformarsi alla disposizione anche le società già costituite, prima dell'entrata in vigore della nuova norma. In caso di mancato adeguamento è prevista una multa di 50mila euro. Sanzioni che andranno a finanziare un Fondo a tutela delle piccole farmacie.
Fronte unito Grillo-farmacisti
Non si tratta di un fulmine a ciel sereno. Dal momento che subito dopo lo stralcio alla Camera, sollecitato dal Pd, era intervenuta in difesa dell'emendamento Trizzino la stessa ministra della Salute Giulia Grillo, che in un post su facebook aveva ribadito che «Il principio per cui nelle farmacie italiane il 51% del capitale di gestione dev'essere rappresentato da farmacisti iscritti all'albo è fondamentale» come «argine al rischio di strapotere delle società di capitale internazionali che possono fare piazza pulita delle piccole farmacie». «Quella norma - sottolineava Grillo - serve a impedire la svendita delle nostre farmacie alle catene che pagano le tasse all'estero, chissà dove, e la distruzione del lavoro dei farmacisti che sono professionisti sanitari e dunque rappresentano per tutti i cittadini, soprattutto nei piccoli centri, le sentinelle e spesso il primo punto di riferimento sanitario».
E ad esprimersi a favore di un stop alle catene è intervenuto anche l'Ordine dei Farmacisti (Fofi) che sottolineando il clima di grande fragilità attraversato dalle farmacie - molte costrette a chiudere a causa delle difficoltà di bilancio - ha puntato il dito contro la legge sulla concorrenza del 2017. Che prevede - come è noto - la possibilità per ciascuna società di capitali di possedere fino al 20% delle farmacie presenti a livello regionale. Un tetto che secondo la Fofi potrebbe consentire a 5 società di «controllare tutte le 20.000 farmacie italiane» aprendo la strada «alla creazione di oligopoli, con una forte prevalenza degli obiettivi di profitto e di mercato e con conseguenze negative per la qualità del servizio reso alla popolazione. In questo senso, l’emendamento che prevede la maggioranza della componente professionale all’interno delle società che possiedono farmacie può rappresentare un importante correttivo per salvaguardare e potenziare la capillare rete delle farmacie di comunità, integrata nel Ssn e coerente con la sua mission, che finora ha risposto alle esigenze dei cittadini».
La posizione dei big
Da parte loro le grandi catene che hanno in Italia una presenza al momento limitata a 300 farmacie per un totale di 500 milioni di euro di fatturato aggregato, sottolineano invece i rischi legati al'approvazione di questa norma. Già intervenute sulla proposta Trizzino anche con una lettera aperta al Governo - firmata dai vertici di Hippocrates Holding, Admenta Italia – LloydsFarmacia e Dr. Max - i big delle farmacie rilevano un grave pregiudizio sul fronte della capacità del Sistema-Paese di essere in grado di attrarre finanziamenti da parte di investitori nazionali ed esteri in qualsiasi settore, che sarebbero scoraggiati dalla grande incertezza della regolamentazione. Ma anche il rischio di un dietrofront rispetto a un trend che vede le farmacie evolversi verso una gestione delle attività da parte di soggetti specializzati, in grado di investire i capitali necessari allo sviluppo della farmacia, nel rispetto della professionalità del farmacista, che ha oggi la possibilità di scegliere se vendere, restare indipendente oppure espandersi attraverso nuove acquisizioni. D'altro canto le grandi catene sottolineano che non deriverebbe alcun beneficio tangibile per cittadini e Sistema sanitario nazionale dalla forzata coincidenza fra proprietà e professionalità della categoria farmacisti, come dimostrato, per esempio, dalla riconosciuta eccellenza a livello internazionale delle strutture medico-ospedaliere a capitale 100% privato (come Humanitas o CDI). Infine tra le contestazioni dei grandi brand internazionali, c'è quella sulla legittimità del diritto, relativamente alla modifica di una legge d’ordinamento attraverso uno strumento legislativo non idoneo come quello della Legge di Bilancio, così come sul fronte del rispetto del principio di retroattività in merito alla previsione dell’obbligo di adeguamento entro 36 mesi.
Catene in Italia a quota 1% ma le aggregazioni crescono
In Italia si assiste a un processo di aggregazione ancora ai sui esordi, che secondo le rilevazioni di Iqvia - provider globale di informazioni, consulenza e tecnologia nel settore farmaceutico - coinvolge il 29,2% delle farmacie, aggregate in catene virtuali, ovvero raggruppamenti di farmacie indipendenti che si associano in una rete che permette di beneficiare di maggiori sconti e ingegnerizzare i processi. Ma per il momento, prevalgono nettamente le farmacie indipendenti, che rappresentano il 69,9% del totale di 18.861.
Uno dei cantieri aperti è quello promosso da Federfarma - la Federazione nazionale che rappresenta le oltre 16.000 farmacie private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale - che ha lanciato il progetto di aggregazione «Sistema farmacie Italia», una rete che ha l'obiettivo di “fare sistema” sul territorio per affrontare le sfide aperte dalla legge sulla concorrenza.
Le catene vere e proprie nel nostro Paese coprono solo l'1% del totale e l'unica «brandizzata», ovvero chiaramente riconoscibile al pubblico, è Lloyds. Grossisti e fondi hanno poi acquistato diverse farmacie (sempre Iqvia ne stima circa 150 di proprietà) ma non c’è ancora visibilità sul territorio e ancora poche sono state le farmacie brandizzate e con layout standard.
In Europa: grandi brand soprattutto in Uk, retromarcia in Polonia
Mentre negli Usa le gigantesche farmacie-supermercato rappresentano praticamente la regola, in Europa le grandi catene sono diffuse in modo diversificato. Secondo le rilevazioni di Iqvia il Paese in cui sono più diffuse è il Regno Unito, dove su un totale di 14.432 farmacie il 61% appartiene ai brand internazionali contro il 21% di farmacie indipendenti e il 18% di catene virtuali. A seguire la Polonia, dove il 43% su un totale di 14.848 farmacie il 43% è di proprietà dei grandi marchi a fronte di un 39% di reti e di un 18% di punti vendita indipendenti. Anche se proprio la Polonia ha recentemente cambiato la propria legislazione e attualmente non è più possibile creare catene reali, ma il cambio normativo non è retroattivo. Una discreta quota di catene anche in Belgio, dove i big detengono il 18% dei 4.905 punti vendita.
Nei Paesi dove invece la legislazione non consente la creazione di catene «reali» di distribuzione al dettaglio, come Francia e Germania, prevalgono le aggregazioni di farmacisti indipendenti: in Francia le catene virtuali coinvolgono il 91% dei 16.620 punti vendita mentre in Germania le reti riuniscono il 79% delle farmacie. In Spagna l'aggregazione è un po' meno diffusa e tocca una farmacia su tre.
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