In parlamento

Delitti impuniti, la sfida dei reati agroalimentari

di Stefano Palmisano (avvocato)

Il nostro sistema penale è ancora essenzialmente costruito su priorità giuridiche e schemi punitivi del secolo scorso. Non a caso, il codice penale vigente è del 1930; epoca nella quale il diritto fondamentale per eccellenza, nei fatti, era quello di proprietà, e i suoi satelliti. Beni come l’ambiente, gli ecosistemi, la biodiversità e, soprattutto, la salute pubblica - nonché, ancor più, i rapporti tra i primi tre elementi e il quarto - fino a meno di due anni fa godevano, in questo Paese, di una tutela penale quantomeno lacunosa.

Nonostante essi fossero al centro dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione: per espressa previsione della Carta - quello alla salute - o per elaborazione della giurisprudenza, a partire da quella costituzionale - il diritto all’ambiente salubre. Il 22 maggio 2015 si è provato, dopo decenni, a colmare quelle lacune contenute nella slabbrata rete della difesa penale di quei valori (in senso letterale) ecologici: in quella data, infatti, è stata approvata la legge 68/2015, introduttiva dei delitti contro l’ambiente nel nostro codice penale. La tappa legislativa logicamente susseguente a quella segnata con la legge “ecoreati” dovrebbe essere l’approvazione di una riforma organica anche dei reati in materia agroalimentare. Questo comporterebbe una sorta di chiusura del cerchio (o almeno un serio tentativo in questo senso) della tutela penale dell’ambiente e della salute pubblica, con specifico riferimento a quei contesti vitali che sono l’agricoltura e i suoi frutti: il cibo.

Nell’ottobre 2015, la Commissione per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare, istituita presso il Ministero della Giustizia e presieduta da Gian Carlo Caselli, concludeva i suoi lavori e consegnava nelle mani del Ministro Andrea Orlando uno schema di disegno di legge recante «Nuove norme in materia di reati agroalimentari». Due le priorità della Commissione: da un lato, una razionalizzazione di un sistema normativo complesso, se non intricato, come quello della materia agroalimentare, attraverso una ricostruzione delle fonti esistenti e una loro semplificazione; dall’altro, una modernizzazione e un adeguamento dell’uso della “leva penale”, calibrato sulla nuova tavola di beni giuridici della “società del rischio”- quella del terzo millennio - che richiedono strumenti di difesa diversificati e innovativi, con un occhio di particolare riguardo al fondamentale principio di prevenzione.

Queste impegnative mete sono state perseguite con la costruzione di un corpus normativo riformatore che spazia dall’anticipazione, nella definizione dei nuovi reati di pericolo contro la salute, della tutela - e quindi dell’incriminazione - già alla soglia del mero rischio alla valorizzazione del principio di precauzione, in un’ottica di tutela della salute pubblica da offese di medio-lungo termine (le più micidiali, com’è noto); dall’affinamento del sistema sanzionatorio delle frodi alimentari alla creazione della emblematica figura di “disastro sanitario”; dall’allargamento della responsabilità da reato delle aziende anche a questo tipo di crimini alla previsione di cause di non punibilità per i fatti più lievi, subordinata alla realizzazione di successive, concrete condotte riparatorie da parte degli stessi autori; fino all’introduzione del significativo reato di “agropirateria”.

Non è questa la sede per un approfondimento di questa nodale traccia di riforma; qui è il caso di porre solo una candida domanda: perché, a distanza di un anno e mezzo dalla presentazione, questo, perfettibile ma già compiuto e utilizzabile, articolato è ancora nello stato “etereo” di Schema di disegno di legge? La domanda risulta tanto più stringente quanto più si pensi che quello stesso testo normativo, nell’ultimo anno, è stato prima recepito in un disegno di legge; poi posto a base di un emendamento alla legge Europea 2015; infine, appena due settimane fa, ha costituito oggetto di un ordine del giorno al Senato di “impegno” nei confronti del Governo, sempre ad opera del senatore Pd Roberto Ruta, con l’appoggio “trasversale” di altri senatori di diversi gruppi parlamentari.

Allo stato, tuttavia, non si registrano sul punto effettive novità normative. In particolare, nella vicenda, si segnala un grande assente: l’Esecutivo, per l’appunto. Lo stesso potere che aveva istituito la Commissione Caselli e che aveva ricevuto il frutto pregevole del lavoro della stessa. Per approvare la legge sugli “ecoreati” e tappare le falle nella rete della tutela penale in quell’ambito ci sono voluti più di vent’anni. L’ambiente e la salute pubblica non hanno tratto particolare beneficio da quell’attesa, per dirla in maniera delicata. L’auspicio è che tra vent’anni non ci si trovi a contare i danni ulteriori inferti anche all’agricoltura sana, al cibo di qualità, all’ambiente e alla salute pubblica dall’accidia (a tacer d’altro) di un legislatore (specie di natura governativa) che sembra avere, ancora nel 2017, grosse difficoltà a cambiare usi e costumi penali. Per esempio, quelli per cui risulta tanto proattivo e draconiano contro barboni e derelitti vari quanto lassista verso trafficanti e aggressori seriali dell’incolumità pubblica.

Stefano Palmisano

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