Imprese e mercato

Confalone (Gilead): «Priorità Italia per le cure trasformative su Hiv, Epatite C ed ematologia»

di Rosanna Magnano

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24 Esclusivo per Sanità24

Ha lanciato il sofosbuvir, il farmaco apripista che ha portato a tassi di cura per l’Epatite C vicini al cento per cento e che insieme alle altre terapie ad azione antivirale diretta ha consentito di trattare fino a ora 140mila pazienti in Italia. Ora il prossimo obiettivo della multinazionale californiana Gilead è di rivoluzionare l’ematologia con le terapie cellulari a partire proprio dal nostro Paese. Ne parliamo con Valentino Confalone, General Manager di Gilead Italia, che ha 200 dipendenti e 19 trial attivi in 100 centri nazionali coinvolti in studi clinici mondiali: «A maggio Gilead ha fatto altri due importanti passi avanti sull’Hcv: rispetto all’obiettivo Oms di eradicare completamente la malattia restavano ancora delle sacche di poche centinaia di pazienti - spiega - che non avevano una terapia efficace, si è data una risposta con l’approvazione e la rimborsabilità di un altro farmaco, sempre a base della stessa molecola ma di quarta generazione che consente di trattare, sempre con elevatissimi tassi di successo, anche quei pochi pazienti che non rispondevano ai precedenti trattamenti. E poi si è risolto anche il problema di un’importante fascia pediatrica adolescenziale da zero a 12-18 anni, che non poteva essere trattata con un farmaco non più rimborsabile e per il quale abbiamo dato disponibilità a un uso praticamente gratuito, al prezzo simbolico di un euro. E grazie a questo i 19 centri in tutta Italia sono in grado di avviare cure pediatriche.

Ci sono anche altre popolazioni da intercettare, come detenuti e tossicodipendenti e c’è un problema di screening?
Il problema è molto complesso in questi casi. Stiamo parlando delle popolazioni penitenziarie e delle persone con Hiv coinfettate da Epatite C. Con le terapie di precedente generazione si preferiva prioritizzare l’Hiv. Ora che le interazioni tra i farmaci Hiv e Hcv sono decisamente più ridotte è possibile trattare i pazienti per entrambe le patologie. Quindi sempre in un’ottica di eradicazione totale si sta lavorando in collaborazione con le autorità penitenziarie e con i Serd per portare informazioni sulle nuove possibilità terapeutiche e sull’importanza degli screening.

È stato positivo l’aver costituito un fondo ad hoc (500 milioni annui) per i farmaci innovativi, quasi interamente speso per l’Epatite C?
È stato un passaggio chiave per ottenere i risultati raggiunti, anche se il fondo in realtà non si è arrivati a spenderlo integralmente. Grazie a questo fondo, le Regioni, dopo un primo periodo di incertezza sulla possibilità di utilizzare in maniera così ampia quei finanziamenti, hanno aperto questa chance di cura e alcune più di altre si sono dimostrate capaci di sfruttarla al massimo. Tanto che oggi qualche ospedale comincia a vedere una diminuzione del flusso di pazienti. E si lavora per intercettare quella fascia di individui che sono affetti da Epatite C ma non lo sanno, oppure hanno ancora qualche resistenza o diffidenza o sono poco informati. Per esempio in Campania, Sicilia, Veneto e Lombardia si sta lavorando in questa direzione.

L’Epatite C è stato anche il primo banco di prova per il nodo dei costi. Gilead è stata la prima a partire e per un certo periodo è stata anche l’unica, in una posizione privilegiata sul mercato. E le polemiche sui prezzi dei farmaci sono state tante. Per tutte queste cure rivoluzionarie si pone il problema di conciliare innovazione e sostenibilità. Stando attenti a non disincentivare la ricerca e consentire un acceso equo. Come la vedete?
Fino a qualche decennio fa l’obiettivo delle industrie farmaceutiche era di portare sul mercato farmaci innovativi con un buon rapporto rischio-beneficio. Ora nell’ultimo decennio l’obiettivo è diventato anche di proporre un prezzo allineato con quello che è il valore aggiunto che quel farmaco porta al paziente e al sistema sanitario in termini di costo-efficacia. Oggi non basta neanche questo. Non basta che il prezzo sia adeguato, perché la complessità delle innovazioni e i vincoli economici sono tali che l’impatto di budget deve essere sostenibile per i sistemi sanitari. Questo richiede un molteplice sforzo, non solo da parte delle imprese. Questo per Gilead significa innanzitutto continuare a fare sforzi sul fronte della governance: ammontano a centinaia di milioni le somme che vengono restituite ogni anno dalle imprese, tra le quali anche Gilead, nell’ambito del meccanismo del payback. Poi sui singoli farmaci ci sono anche meccanismi di prezzo condizionato da volume e risultati che consentono al Sistema sanitario nazionale di recuperare una buona parte della spesa. L’esempio dell’Epatite è lampante: circa i tre quarti dei ricavi vengono restituiti al Ssn attraverso i meccanismi di price volume e altri meccanismi che sono stati concordati con Aifa.

Si tratta di meccanismi coperti da segreto industriale, un nodo che ha suscitato un forte dibattito. Che ne pensa?
Sono meccanismi confidenziali che in realtà consentono di prezzare il farmaco in maniera sostenibile per il servizio sanitario nazionale. Prezzi che se non fossero confidenziali non potremmo concedere alle autorità dei singoli Paesi. Tramite questi meccanismi abbiamo restituito svariate centinaia di milioni di euro in questo Paese.

Ora sono in arrivo nuove tecnologie farmaceutiche ancora più sofisticate e dirompenti. Che accadrà sui prezzi?
Soprattutto in oncologia, per quanto riguarda Gilead, parliamo delle terapie cellulari. In questo caso dovremo essere ancora più innovativi sui meccanismi di prezzo. Vuol dire lavorare in anticipo insieme ad Aifa per definire dei meccanismi che consentano da un lato ad Aifa di pagare il farmaco per l’effettivo beneficio che apporta, ad esempio sulla base della risposta terapeutica. Ma poi c’è un secondo elemento: si dice spesso che questi farmaci sono costosi, e indubbiamente sono farmaci ad alto valore, ma sono molto meno costosi di quello che a prima vista può apparire. C’è un esborso iniziale piuttosto elevato ma va considerato che le terapie cellulari, come altre terapie in oncologia, comportano un trattamento iniziale che dura poche settimane dopodiché se il farmaco funziona non c’è più nessuna esigenza di ritrattare il paziente. Quindi il beneficio può durare mesi, anni e potenzialmente portare a una guarigione. Quindi quel costo iniziale va spalmato sulla vita intera del paziente e confrontato con il corrispondente beneficio che apporta. Con tutti gli impatti positivi per il Servizio sanitario che non è costretto a ritrattarlo e con i costi evitati. Quindi il problema è allineare quell’esborso iniziale con il beneficio di lungo periodo. Su questo stiamo lavorando con Aifa.

Vuol dire che i Managed entry agreement sono superati e in futuro non si comprerà più il farmaco ma si faranno delle partnership?
Oggi non esiste ancora nessun meccanismo di quel genere ma la direzione è quella. Ora però è necessario garantire una gestibilità del meccanismo. Perché il problema del payment by result è che sulla carta è magnifico ma nella gestione day by day è molto complesso soprattutto per la gestione di tutti i registri che nel tempo si sono accumulati. Bisogna pertanto creare meccanismi che siano anche di semplice gestione. Altrimenti tutto diventa così complesso che si perde di vista il beneficio. La sfida è duplice.

Qual è la sede giusta per questi confronti? Ora c’è anche un nuovo governo che a breve si esprimerà anche sulla governance farmaceutica.
In Aifa come Gilead ci siamo fatti pionieri di questo tipo di discussioni e l’autorità si è mostrata aperta al dialogo. Ma servirà ovviamente anche un endorsement politico e siamo tutti in attesa di capire. Nel recente passato il Movimento Cinque stelle è stato critico sui meccanismi di confidenzialità delle trattative. Ma non bisogna confondere confidenzialità e trasparenza. La confidenzialità è una regola in tutta Europa e serve semplicemente per garantire condizioni specifiche per il singolo Paese. I meccanismi sono trasparenti ma confidenziali per tenere conto della diversa capacità di spesa dei paesi in un sistema di prezzi di riferimento internazionali.

Che progetti avete in Italia?
Entro la fine dell’anno l’Italia potrebbe diventare la seconda affiliata più importante in Europa. Un risultato anche del lavoro fatto su patologie importanti come Hcv e Hiv. Ora l’obiettivo è portare in Italia il cuore dell’innovazione che stiamo sviluppando, a partire dalla nuova generazione dei farmaci per l’Hiv e la terapia cellulare. Io ho un sogno che è quello di far partire la terapia cellulare in Italia tra i primi paesi europei, in modo che quei pazienti in uno stadio avanzato della tipologia di linfoma su cui abbiamo sperimentato il farmaco, e che oggi hanno una aspettativa di vita di pochi mesi, abbiano da subito a disposizione il farmaco e su questo stiamo lavorando in due modi: innanzitutto con l’uso compassionevole, che non è scontato per le terapie cellulari, che sono molto costose da realizzare e sono la terapia personalizzata per eccellenza. Dall’altro accelerando il più possibile la decisione sulla rimborsabilità. L’Italia ha una storia di ricerca sulla terapia cellulare e sarebbe davvero un traguardo avvicinarci il più possibile ai tempi della Germania. Per noi è poi fondamentale continuare a rafforzare la ricerca clinica in Italia sia nelle aree di ricerca prioritarie per Gilead quali la steatosi epatica non alcolica (NASH) e l’infiammazione (attualmente sono 19 i trial clinici attivi nel nostro paese), sia finanziando progetti di ricerca indipendente, per i quali sono stati stanziati circa tre milioni di euro, sia infine attraverso il nostro programma di Fellowship grazie al quale ulteriori sette milioni e mezzo sono stati dedicati a progetti innovativi. La priorità resta portare queste cure trasformative in Italia in maniera rapida. Abbiamo trasformato l’Hiv, abbiamo trasformato l’Epatite C e vogliamo trasformare anche l’ematologia partendo dall’Italia.


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