Europa e mondo

Reportage/ La sanità si globalizza con la telemedicina: ponti web tra Italia e Malawi

di Michelangelo Bartolo (Servizio di telemedicina Ao San Giovanni Addolorata Roma)

È la terza volta che le ruote dell’aereo toccano la pista in meno di 24 ore. Atterriamo a Blantyre, città per lo più sconosciuta agli occidentali ma seconda metropoli del Malawi. A dire il vero anche il Malawi non spicca per notorietà internazionale. È un Paese dell’Africa sub-sahariana incastonato nel Mozambico e lambito per 570 chilometri dal lago Nyassa che ne delimita il confine con la Tanzania. Ex colonia inglese, 15 milioni di abitanti in una superfice pari a un terzo dell’Italia, era fino a qualche anno fa uno dei Paesi più poveri dell’Africa. Il Malawi deve quel minimo di notorietà alle avventure di Livingstone che diede l’ispirazione a libri e film commedia come “Africa Screams”.

Con me, viaggia una delegazione di una dozzina di persone composta da medici, tecnici informatici, finanziatori con valigie stracariche di Pc, elettrocardiografi, e una quantità indefinita di device elettromedicali che ci eravamo diligentemente divisi tra i nostri bagagli a mano. Scopo della missione: aprire ben cinque postazioni di telemedicina in altrettanti centri sanitari malawiani.

Ci accompagna una delegazione della Asl Roma 4 rappresentata autorevolmente dal suo direttore generale Giuseppe Quintavalle, da Mauro Mocci, medico di base di Allumiere, Tommaso Gargallo, manager delle terme di Stigliano e alcuni finanziatori del Rotary club romano.

Non sono nuovo di queste missioni: i primi centri di telemedicina erano stati aperti in Tanzania grazie a un finanziamento dell’allora ufficio della Cooperazione tra i Popoli delle Regione Lazio. Un’iniziativa pilota che ha dato lo starter a un progetto più ampio che oggi vede coinvolti ben nove Paesi africani.

Capofila di tutto è l’Ospedale San Giovanni che da anni ha sviluppato servizi di telemedicina per i pazienti romani e, grazie a un accordo con la Comunità di Sant’Egidio, anche servizi di teleconsulto multispecialistici per le zone più povere dell’Africa. Si era iniziato solo con la cardiologia e oggi, dopo quasi sei anni di attività e 5.000 teleconsulti all’attivo, le branche specialistiche coinvolte sono diventate ben 18: dermatologia, neurologia, radiologia, malattie infettive, pediatria, urologia, solo per citarne alcune.

Dall’aeroporto di Blantyre, fatiscente costruzione neocoloniale, ancor prima di raggiungere l’albergo, ci dirigiamo al centro sanitario di Kapeni. L’ultimo tratto è di strada sterrata che mette a dura prova le sospensioni del pick-up e la mia discopatia. È domenica ma veniamo accolti da un infermiere e un Clinical officer, una figura sanitaria predominante in Africa che è poco più di un infermiere e poco meno di un medico; sono loro a introdurci e spiegarci il funzionamento della struttura.

Una rapida verifica dell’impianto elettrico e della connettività Internet che, essendo praticamente assente, ha bisogno di un energico intervento. La corrente è invece garantita con una manciata di pannelli solari che, sostenuti da una buona dose di batterie, trasformano il sole in 220 volt. A Kapeni lasciamo subito una serie di apparecchiature che, assemblate insieme, si trasformeranno in una postazione di telemedicina.

L’indomani Blantyre si manifesta per quella che è: una città con un commercio a tratti caotico che si mischia nel traffico e nella marea di persone in perenne movimento; un brulicare di attività che ci avvolge e ci circonda. Con Phillip, tecnico informatico locale, acquistiamo un router dell’Airtel, compagnia telefonica malawiana che permetterà al centro di Kapeni di avere una connessione a un Mbyte in download, dicono. Il resto della giornata lo spendiamo per montare, quasi fosse una scatola di montaggio senza istruzioni, il futuro centro di telemedicina che, secondo il calendario prestabilito, verrà inaugurato all’indomani. La sera il primo teleconsulto di test naviga in rete.

La cerimonia di inaugurazione è quasi una festa. Una nutrita folla di donne, uomini, bambini, guidate dal capo villaggio ci accoglie con danze e canti locali. I discorsi ufficiali vengono intervallati da altre danze. Lo slogan dell’inaugurazione è il seguente: mentre nel mondo qualcuno si adopera per costruire muri, noi, da questo sperduto centro sanitario del Malawi, costruiamo ponti.

Sì, in un mondo globalizzato i progetti sanitari possono e devono creare ponti tra il sud e il nord del mondo. Progetti che nono sono dettati solo da nobili principi di solidarietà, ma dalla convinzione più profonda che c’è un destino comune tra i popoli che non si costruisce alzando muri ma con l’integrazione. Internet e la tecnologia diventano una chance di sviluppo che con il servizio di teleconsulto diviene un nuovo modo di fare cooperazione ad alto impatto e a costi relativamente contenuti.

Ma c’è anche una motivazione scientifica, che di fatto è forse la spiegazione del perché molti istituti di eccellenza italiani stanno partecipando attivamente al programma di teleconsulto con l’Africa. Avere a disposizione un data base con notizie cliniche di patologie che da noi sono rare, costituisce anche un serbatoio di lavori scientifici innovativi.

Dopo i discorsi di rito una delegazione scortata da giornalisti locali scopre la targa della postazione di telemedicina. Poco prima di andar via, un nostro amico della delegazione di Civitavecchia riferisce un senso di malessere. Gli sento il polso, decisamente accelerato. Sembra fatto apposta. Quale migliore occasione per verificare dal vivo il funzionamento del teleconsulto. In pochi minuti, il paziente è sul lettino e il suo elettrocardiogramma, viene inviato, con alcuni particolari anamnestici alla categoria “cardiologi”. Il tracciato è tutt’altro che normale, la frequenza cardiaca si avvicina a 150. Dopo soli 9 minuti, il telefonino del medico richiedente vibra: un Sms segnala che c’è una risposta on line. Ci colleghiamo e leggiamo la diagnosi e il suggerimento terapeutico di un cardiologo del San Camillo di Roma: Fibrillo-flutter.

Non poteva esserci test migliore: una consulenza cardiologica quasi in tempo reale fatta a Kapeni, luogo isolato, circondato da capanne fatiscenti ma da oggi un po’ meno sconosciuto di prima. È sicuramente la prima volta che in questi villaggio viene prescritta Eparina. È questa la globalizzazione che crea ponti.

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