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Biosimilari «intercambiabili» con i farmaci brand, la svolta di Aifa

di Rosanna Magnano

I farmaci biosimilari non hanno più come destinatari privilegiati solo i pazienti "naive" ma sono invece considerati di fatto «intercambiabili» rispetto agli originator. Quindi un'opzione terapeutica a basso costo ( con risparmi tra il 20 e il 50 per cento) che può garantire l'accesso alle cure a un numero maggiore di pazienti, più concorrenza sul mercato e una potenziale riduzione dei costi sanitari. Sono queste le principali novità contenute nel secondo Position paper dell'Aifa sui farmaci biosimilari presentato questa mattina a Roma.

I farmaci autorizzati dal 2006 al 2018 in Europa sono 38 e decisioni analoghe sull'intercambiabilità sono state prese anche da Francia, Germania, Norvegia e Portogallo. Ma i risultati di mercato in Italia sono già da tempo in crescita. E il 2017 conferma il trend. Lo scorso anno i biosimilari hanno infatti assorbito il 19% dei consumi nazionali contro l’81% detenuto dai corrispondenti originator, registrando una crescita complessiva dei consumi del 73,9% rispetto al 2016.

«I medicinali biosimilari sono una risorsa terapeutica importante - ha dichiarato il direttore generale dell’Aifa, Mario Melazzini - e un’opportunità per contribuire a garantire sempre più la risposta al bisogno di salute emergente. In sinergia con i farmaci biologici possono fornire risposte al problema del sottotrattamento per numerose patologie, garantendo l’accesso alle terapie a un numero sempre maggiore di pazienti».

L'esercito dei «sottotrattati»
Un problema, quello del sottotrattamento che secondo uno studio E&Y su 11 patologie - commissionato da Italian biosimilar Group - interessa 200mila pazienti (con un range variabile da 100mila a 300mila). L’indagine è partita dall’analisi su 11 malattie - psoriasi, artrite psoriasica, spondilite anchilosante, artrite reumatoide, malattia di Crohn, colite ulcerosa, lingoma non-Hodgkin, leucemia linfatica cronica, carcinoma mammario, tumore al colon retto e melanoma metastatico - per il cui trattamento sono già presenti sul mercato i biosimilari.

Va specificato tuttavia che la variabilità delle rilevazioni è piuttosto ampia. Per la Psoriasi, ad esempio, a fronte di una prevalenza di 1milione 700mila pazienti, quelli eleggibili al trattamento con biologico oscillano tra i 200mila e i 50mila. In questo quadro, i pazienti con psoriasi effettivamente trattati con biologico sono 16mila, con uno scarto di pazienti ascrivibili all’area del sottotrattamento che oscilla quindi tra i 34mila e i 184mila.

Al di là delle oscillazioni il problema comunque esiste e va approfondito. Tra le cause riportate da Ernst&Young figurano non solo il costo elevato dei biologici e la scarsa confidenza di medici e pazienti con questa tipologia di prodotti, ma anche la scarsa diffusione dei centri specialistici e la conseguente presa in carico tradiva e più in generale una governance non ottimale dei percorsi di cura.

Biosimilari efficaci e sicuri
Alla base della posizione di Aifa sull'intercambiabilità, chiare motivazioni scientifiche su efficacia e sicurezza, anche tenendo conto del fatto che negli ultimi 10 anni, il sistema di monitoraggio Ue per la sicurezza non ha identificato alcuna differenza rilevante in termini di natura, gravità o frequenza di segnalazione di reazioni avverse tra i biosimilari e i loro farmaci di riferimento. «Come dimostrato dal processo regolatorio di autorizzazione - si legge nel Position paper - il rapporto rischio-beneficio dei biosimilari è il medesimo di quello degli originatori di riferimento. Per tale motivo, l’Aifa considera i biosimilari come prodotti intercambiabili con i corrispondenti originatori di riferimento. Tale considerazione vale tanto per i pazienti naïve quanto per i pazienti già in cura». Una svolta che avrà conseguenze sulla salute dei cittadini e sui mercati.

Soddisfatta del Position paper l'industria dei biosimilari. «Il principio dell’intercambiabilità originator-biosimilare - commenta Manlio Florenzano, coordinatore del Gruppo IBG, organo ufficiale di rappresentanza dell’industria dei farmaci biosimilari in Italia - rappresenta una risposta concreta ed efficace al tema del sottotrattamento e apre le porte all’ampliamento della platea dei pazienti che potranno accedere ai trattamenti innovativi in uno stadio sempre più precoce della malattia. Il documento conferma tutti i presupposti alla base dell’introduzione dei biosimilari sul mercato europeo, specificando che è l’Ema a valutare la biosimilarità in base a tutte le massime evidenze scientifiche disponibili e che dunque non sono necessarie ulteriori valutazioni comparative effettuate a livello regionale o locale, ribadendo comunque la potestà dell’ente regolatorio nazionale di intervenire, valutando caso per caso ed eventualmente modificando le proprie posizioni sui singoli prodotti o sulle singole categorie terapeutiche, col progredire della pratica cinica e delle evidenze scientifiche acquisite».

A determinare la prescrizione di un farmaco c'è sempre la decisione di un medico. Una decisione di natura clinica e non solo. Non a caso, si legge nel position paper di Aifa, «Pur considerando che la scelta di trattamento rimane una decisione clinica affidata al medico prescrittore, a quest'ultimo è anche affidato il compito di contribuire a un utilizzo appropriato delle risorse ai fini della sostenibilità del sistema sanitario e la corretta informazione del paziente sull'uso dei biosimilari».

Su questo punto, Farmindustria pone il problema di una reale garanzia sull'appropriatezza prescrittiva. «Mi aspetto che le istituzioni affrontino le problematiche che ci sono da un punto di vista rigorosamente scientifico», è stato il commento a caldo del presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi. «L'industria farmaceutica torna a ribadire - continua - che i biosimilari essendo approvati in un circuito regolatorio europeo hanno l'esatta dignità dei farmaci biologici originator. Sono studiati, sicuri ed efficaci. Ma, come detto nelle premesse del professor Melazzini, non sono uguali. Per questo mi auguro che resti effettivamente nelle mani del clinico la scelta di dare il farmaco più appropriato sulla base delle caratteristiche del paziente. Purtroppo sappiamo che in Italia non va così. Perché si faranno le gare d'acquisto sulla base dell'intercambiabilità e così il medico avrà in mano un solo prodotto, sia esso biologico o biosimilare, perché potrebbe vincere anche l'originator. E questo non garantirebbe la libertà di scelta del medico, che deve decidere in scienza e coscienza»

I potenziali risparmi
L'impatto sulla spesa farmaceutica pubblica non potrà che essere positivo in termini di potenziali risparmi. L'Aifa ha valutato che per quattro farmaci biologici (Humira, Avastin,Herceptin, Neulasta) l'uso del biosimilare porterà a possibili tagli alla spesa pari a 1,2 mld in tre anni, oltre 2 miliardi in 5 anni e fino a 4 miliardi in dieci anni. Una previsione calcolata in applicazione del «DM Scaglioni» che prevede riduzioni dei prezzi in rapporto ai fatturati che nel caso specifico sono pari al 50% per i primi tre farmaci e del 31,7% per l’ultimo, a seconda del fatturato.

Quella di controllare la spesa farmaceutica è un'urgenza per la sostenibilità dell'intero Sistema sanitario nazionale, alle prese con la sfida cronicità, nuovi Lea e farmaci innovativi. E l'Aifa ricorda che la spesa farmaceutica complessiva (convenzionata in farmacia e spesa diretta) da gennaio a ottobre 2017 ha già sforato di oltre un miliardo il tetto di spesa complessivo del 14.85% del fabbisogno sanitario nazionale.

I trend regionali: Piemonte al top, Calabria in coda
In rosso con la spesa farmaceutica sono praticamente tutte le regioni. Ma il quadro dei consumi sui risparmiosi biosimilari è estremamente diversificato a livello regionale. A registrare il maggior consumo di biosimilari per tutte le molecole in commercio sono la Valle d’Aosta e il Piemonte con una incidenza dei biosimilari del 64,11% sul mercato complessivo di riferimento. Seguono, appaiate ma decisamente distanziate dalle prime due, Basilicata e Sicilia dove i biosimilari assorbono rispettivamente il 33,37% e il 32,77% del mercato di riferimento. All’estremo opposto, fanalini di coda la Puglia (6,82%), l’Umbria (7%) e il Lazio (8,27%). Ben altro aspetto assume però la classifica regionale dei consumi tenendo conto soltanto del mercato riferito all’insieme delle quattro molecole in commercio da almeno 3 anni (Epoetine, Filgrastim, Somatropina, Infliximab): in testa ai consumi di biosimilari ancora una volta Valle d’Aosta e Piemonte, entrambe con quote di consumo di biosimilari dell’82,80%. Seguono il Trentino Alto Adige (70,63%), la Liguria (69,99%) passando per la Toscana, L’Emilia Romagna e la Sicilia, tutte con quote di penentrazione dei biosimilari superiori al 60%. Ultima in classifica la Calabria dove il consumo delle quattro molecole biosimilari si ferma al 14,44 per cento.




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