Dal governo
Cronicità, ecco il Piano nazionale. Tanti progetti, nessuna risorsa
di Barbara Gobbi
24 Esclusivo per Sanità24
Esclusiva. Finalmente, un Piano. Atteso e chiesto da anni, annunciato e poi perso per strada. Rilanciato dal Patto per la salute 2014-2016 - che sta arrivando alla scadenza in larga parte inattuato - nel suo sforzo di “tenere insieme tutto”: la riorganizzazione del territorio così come l’integrazione socio-sanitaria, la rivisitazione del ruolo dell’ospedale, la prevenzione.
Il (primo) Piano nazionale della cronicità, messo a punto dal ministero della Salute con il parziale coinvolgimento delle associazioni di pazienti e Cittadinanzattiva-Tdm dal ministero della Salute e prossimo all’invio in Conferenza Stato-Regioni, è una notizia in sé. Perché finalmente è il segnale tangibile di un’assunzione di responsabilità rispetto a problemi più che conclamati in Italia: il progressivo invecchiamento della popolazione, che ci fa tra i Paesi più longevi del mondo, l’exploit delle malattie croniche, la correlazione tra impoverimento e peggioramento delle condizioni del paziente e la presa in carico differenziata nelle singole Regioni. Nel 2032 l’Istat stima che la quota di “over 65” sul totale della popolazione italiana raggiungerà il 27,6%, pari in termini assoluti a 17,6 milioni di anziani. Un dato preoccupante, soprattutto se si considera che le disuguaglianze sociali, oggi in peggioramento nel nostro Paese, sono tra i fattori che più incidono sulle condizioni di salute. Nel 2013 si dichiarava affetto da almeno due malattie croniche il 48,7% delle persone tra i 65 e i 74 anni e il 68% degli over 75. E se in generale i malati cronici che si auto-definiscono “in buona salute” sono il 41,5%, tra gli anziani la quota scende al 24,2%. Calabria e Basilicata sono le Regioni in cui è più bassa la percentuale di cronici in buona salute. Il capitolo costi, oltre ai bisogni della popolazione, impone un’inversione di rotta: basti pensare che tra gli over 65 si concentra il 60% - circa 7 miliardi - della spesa farmaceutica territoriale, mentre la spesa pro capite di un assistito maggiore di 75 anni è 11 volte superiore a quella di una persona tra 25 e 34 anni.
La necessità di contenere costi crescenti e di intercettare adeguatamente i bisogni complessi dei pazienti ha imposto di “stringere” sulla stesura del Piano. Che tra luci e ombre - la più importante è l’assordante mancanza di una stima della spesa necessaria ad attuare il progetto - prova a tracciare una via: sia dettando le linee guida generali sia entrando nel merito dei percorsi su dieci patologie croniche. Queste: malattie renali e insufficienza renale, artrite reumatoide e artriti croniche in età evolutiva, rettocolite ulcerosa e malattia di Crohn, insufficienza cardiaca cronica, malattia di Parkinson e parkinsonismi, Bpco e insufficienza respiratoria cronica, insufficienza respiratoria in età evolutiva, malattie endocrine in età evolutiva, malattie renali croniche in età evolutiva.
L’obiettivo del Piano è quindi indicare la strada a cui tendere, pur nel rispetto dei singoli modelli regionali che andranno elaborati o aggiustati sulla base delle caratteristiche epidemiologiche della popolazione. E per questo servono sistemi informativi efficaci, capaci di dialogare. Poi, spetterà a una Cabina di regia nazionale “multitasking” ricondurre a unità gli interventi e promuovere le buone prassi. Con i riflettori puntati su uniformità ed equità di assistenza ai cittadini, da perseguire con la stretta integrazione tra i diversi setting assistenziali.
Il paziente primo destinatario degli interventi - ma c’è anche un capitolo dedicato all’età evolutiva - è definito come «una persona, solitamente anziana, spesso affetta da più patologie croniche incidenti contemporaneamente, le cui esigenze assistenziali sono determinate non solo da fattori legati alle condizioni cliniche ma anche da altri determinanti (status socio-familiare, ambientale, accessibilità alle cure)». Il Piano cronicità chiede soprattutto un salto culturale nell’approccio alla malattia: intanto non si punta a ottenere la guarigione ma la “salute possibile”, cioè lo stato di salute legato alle condizioni della persona. Ed è quest’ultima al centro del sistema, grazie alla costruzione di percorsi diagnostico-terapeutici (Pdta) e a «una relazione empatica tra il team assistenziale e la persona con cronicità e i suoi caregiver di riferimento».
La presa in carico complessiva, è pensata per eliminare la cesura tra i tre classici livelli assistenziali (assistenza primaria, specialistica territoriale, degenza ospedaliera), dando vita a un continuum di “prodotti” clinici e non clinici da parte di ogni attore del team di assistenza. Tra i punti di forza, il focus sulla cura domiciliare integrata, preceduta dalla valutazione multidimensionale necessaria per poter pianificare attività e intensità degli interventi. Il paziente cronico è inserito in un flusso individuale di assistenza, il più possibile personalizzato, che si declina in una sequenza standard: dalla valorizzazione della rete assistenziale si arriva all’empowerment del diretto interessato, passando per l’adeguamento dei modelli organizzativi, per un approccio integrato di assistenza e per la “stadiazione” della persona, in base al grado di sviluppo della patologia e dei relativi bisogni socio-assistenziali, su cui andrà tarato il Pdta.
Un iter complesso e ancora oggi lontano da molte realtà regionali. Per fornire una possibile rotta, il Piano richiama modelli internazionali come il Chronic care model, la Piramide di Kaiser e la Piramide del rischio - introdotta già in Veneto - che adotta il sistema Acg (Adjusted clinical groups) classificando la popolazione per livello di complessità assistenziale, a partire dalle combinazioni di diagnosi acute o croniche presenti nello stesso soggetto. In Veneto il sistema Acg è stato inserito nel 2014, per sviluppare metodologie che consentano di stratificare la popolazione, attribuire pesi proporzionati al carico di malattia e destinare le risorse in modo più coerente con i bisogni di salute, garantendo la sostenibilità del sistema.
Nel percorso di cura disegnato dal Piano cronicità il paziente non è passivo ma “apprende” fino ad arrivare all’empowerment: in un contesto quanto più possibile “desanitizzato”, il malato arriva a stringere con l’équipe un patto di cura che gli consente di covivere con il suo quadro patologico.
Perché tutto ciò non resti un libro dei sogni, serve muoversi per tempo: intanto investendo in prevenzione sia primaria che secondaria - il Piano rilancia per l’ennesima volta il ruolo del distretto - e in appropriatezza, con il minor ricorso all’ospedale ma anche, all’interno del contesto ospedaliero, con «percorsi di cura dell’acuzie nella cronicità», definiti a priori, tutorati e garantiti da personale dedicato. Ma medici, infermieri, professioni sanitarie e farmacisti potranno partecipare alla rivoluzione copernicana disegnata nel Piano soltanto se avranno ricevuto la giusta formazione, all’Università e in ambito Ecm, in “tecniche di cura della cronicità”. Figura centrale è il Mmg, supportato dagli operatori che di volta in volta intervengono nella presa in carico e attivo nei nuovi modelli - Aft e Uccp - disegnati da anni e in via di definizione con la prossima Convenzione per la medicina generale.
Il Piano del ministero prefigura in definitiva un puzzle complesso, di cui molte tessere decisive vanno ancora costruite. Come i richiesti «sistemi informativi evoluti» - che tutte le Regioni sono chiamate ad adottare - in grado di leggere i Pdta per poter monitorare i dati, i processi e valutare l’assistenza erogata ai pazienti. Triplice la funzione di ogni sistema informativo: allerta che aiuta il team ad attenersi e a conformarsi alle linee guida; feedback per i medici, cui mostra i livelli di performance nei confronti degli indicatori delle malattie croniche; registro di patologia per pianificare l’assistenza al singolo paziente e per gestire un’assistenza population-based.
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