Dal governo

Salute e Def 2016. Tutto quello che non hanno detto ai cittadini

di Tonino Aceti (coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva)

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24 Esclusivo per Sanità24

«Basta tagli al Servizio sanitario nazionale… la Sanità ha già dato…» questo è quello che leggiamo ogni giorno sui giornali. Quello che invece accade nella realtà, cioè quello che si decide con leggi dello Stato, Intese e Accordi Stato Regioni, e che si nasconde ai cittadini, va proprio nella direzione opposta. Il Servizio sanitario pubblico continua costantemente a dare e ad essere sacrificato da Governo e Regioni per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica con il risultato di un aumento costante della rinuncia alle cure, riduzione dei servizi, aumento dei costi per i cittadini, compressione delle tutele e del perimetro dei diritti del malato, aumento delle disuguaglianze.
È purtroppo quanto previsto anche nel Documento di Economia e Finanza 2016 passato al vaglio del Parlamento.
Il Def ci dice chiaramente che i cittadini avrebbero potuto contare su 8,5 miliardi in più per il finanziamento del Ssn per gli anni 2017-2018 e invece niente. La causa? Tutte le Regioni, con il consenso del Governo, in tempi record (circa 40 giorni) con Intesa Stato-Regioni 11 febbraio 2016, hanno deciso di far pagare ancora una volta e solamente al Ssn il conto salato del loro “contributo alla finanza pubblica” previsto nell’ultima Legge di Stabilità. Auspicavamo che quanto già accaduto nel 2015 non si reiterasse e invece ci risiamo. Eppure con 3,5 mld di euro in più nel 2017 e 5 mld in più nel 2018 avremmo potuto rispondere ad alcuni importanti bisogni dei cittadini, ad oggi insoddisfatti, come migliorare l’accessibilità ai servizi sanitari e ridurre il tasso di rinuncia alle cure attraverso l’abrogazione del super ticket per il quale servirebbero poco più di 800 milioni di euro l’anno. E ancora: rifinanziare per il 2017 e 2018 il fondo per i farmaci innovativi nella misura di almeno 1 miliardo, ad oggi ancora senza uno stanziamento. Per non parlare del fatto che con solo 1 mld in più avremmo potuto raddoppiare l'attuale livello di investimento nazionale nella prevenzione rivolta alle persone e sbloccare anche il nuovo Piano nazionale di prevenzione vaccinale, visto che il precedente è fermo al 2014. Invece con solo 21 milioni di euro all’anno potremmo garantire su tutto il territorio nazionale l’erogazione gratuita degli alimenti aproteici (oggi a carico dei pazienti) per ritardare il più possibile l’ingresso in dialisi. Altri importanti interventi, inoltre, si sarebbero potuti fare sul personale sanitario, sull’edilizia sanitaria, sull'ammodernamento del Ssn e per il rilancio dell’assistenza sanitaria territoriale.
E invece niente. Il Def decide di fissare il finanziamento del Ssn nel 2018 (114.998 milioni euro) persino ad un livello più basso di quanto il Patto per la Salute aveva previsto per il 2016 (115.444 milioni euro), in un contesto economico-finanziario più difficile di quello attuale.

Insomma, se si fosse voluto, si sarebbe potuto contare su più risorse per il Ssn. Come? Le Regioni, in accordo con il Governo, avrebbero potuto scegliere di far pagare il conto del loro contributo alla finanza pubblica, almeno per una parte, ad altre voci di spesa pubblica diverse da quella sanitaria e sulle quali ad oggi non possiamo certamente dire di aver raggiunto lo stesso livello di efficienza, controllo e trasparenza. Basti pensare che il Rapporto CREA Sanità 2015 ci dice che ad esempio i 2,3 mld di tagli lineari apportati al Fondo sanitario 2015 sarebbero equivalsi al 5,7% delle spese correnti non sanitarie delle Regioni. Un'altra strada quindi era ed è possibile, bisogna avere il coraggio di intraprenderla, anche gradualmente e questa è una scelta innanzitutto politica. La «spending» non si può fare solo sul Ssn!

Finalmente però l’opacità con la quale si sta gestendo la partita della determinazione delle risorse per il Ssn, è stata affrontata anche dal Parlamento in occasione della discussione del Def. La Commissione Affari Sociali, nel suo parere al Documento, segnala giustamente «l’esigenza di sottoporre al vaglio del Parlamento la determinazione dell’entità delle risorse da erogare al Ssn in sede di approvazione della legge di stabilità, senza rinviarla alle intese in sede di Conferenza Stato-Regioni....». Chiediamo che questo monito della Commissione sia implementato da subito.
Anche sul fronte della spesa il Def 2016 sceglie una strada chiara, purtroppo molto preoccupante, e cioè quella di un decrescente livello di investimento nel Ssn per i prossimi anni. Non solo è programmata per il triennio 2017-2019 una minor spesa rispetto a quanto previsto con il Def 2015, ma anche un rapporto spesa sanitaria/Pil che passa dal 6,8% del 2016 al 6,5% del 2019, valore quest’ultimo indicato dall’Oms come valore limite al di sotto del quale si intacca la salute dei cittadini e la loro aspettativa di vita.
Ma non basta. Alle preoccupanti scelte sul fronte del finanziamento e della spesa per il Ssn se ne aggiunge un’altra. Il Def, nella sezione “Programma nazionale delle riforme”, considera attuato e persino “rafforzato” già a dicembre 2015 il Patto per la Salute, e cioè quel programma di riforma e di innovazione del Ssn che avrebbe dovuto (se attuato) almeno in parte controbilanciare gli effetti negativi legati al suo definanziamento costante.
Per quanto ci risulta ad oggi il Patto è ben lontano dall’essere stato attuato e il considerarlo invece come tale ci preoccupa molto.
Siamo quindi arrivati al limite. È ora che il Governo e le Regioni dimostrino nei fatti, e non solo con le parole, di voler proteggere la salute di tutti noi, attraverso una sanità pubblica in grado di farsi carico dei nostri bisogni di salute. Proprio per questo il 4 maggio tutto il nostro Movimento sarà impegnato in una mobilitazione nazionale “Io rispetto il Patto” a tutela dei diritti del malato e del Ssn.


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