Dal governo
Giovani madri e figli morti. Commissariamento per le Regioni inadempienti sui punti nascita
di Tonino Aceti (Coordinatore Nazionale del Tribunale per i diritti del malat-Cittadinanzattiva)
24 Esclusivo per Sanità24
Cinque giovani mamme e i loro piccoli in grembo morti in sette giorni. Vite spezzate sul nascere e famiglie alle quali è stato rubato il futuro. Famiglie sulle quali lo Stato si appresta a rovesciare l'onere della prova per il risarcimento del danno, attraverso il Disegno di legge Gelli sulla Responsabilità professionale del personale sanitario in approvazione alla Camera dei Deputati la prossima settimana. Di questo stiamo parlando. Si è vero, i dati sulle morti materne pongono l'Italia in linea con altri paesi dell'Unione europea, con circa 10 casi ogni 100mila bambini nati vivi, ma è vero anche che l'Istituto Superiore di Sanità afferma che intervenendo sulle “criticità” possiamo ridurre la mortalità materna di circa il 50%. In pratica possiamo salvare decine di vite ogni anno.
Ma queste criticità si stanno affrontando tutte, adeguatamente e per tempo? Il Ministero della Salute e le Regioni stanno facendo tutto ciò che è necessario e previsto dalla Legge per mettere in sicurezza il percorso nascita nel nostro Paese? Tutto questo è dato saperlo ai cittadini? Questi oggi riescono ad apprendere agevolmente se la propria Regione e/o la struttura presso la quale intendono partorire rispetta tutti gli standard previsti dalla normativa vigente?
La verità è che si è fatto ancora troppo poco, troppo lentamente e con poca trasparenza. Ecco il perché.
Leggendo le relazioni degli ispettori del Ministero della Salute in merito alle morti delle giovani mamme, in 3 casi su quattro sono state riscontrate criticità relative alla valutazione delle infezioni e all'aderenza alle linee guida sul trattamento della sepsi. Peccato che da una prima ricognizione abbiamo appurato che le Regioni che hanno rivolto, già dal 2012, una particolare attenzione alla corretta gestione della sepsi attraverso la messa a punto/adozione di una raccomandazione/linea guida regionale nonché attraverso attività formative sembrerebbero essere solo 4: Toscana, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Il ministero della Salute ha attivato solo nel mese di novembre 2015 un gruppo di lavoro specifico (senza la partecipazione di rappresentanti delle Organizzazioni di cittadini) che ancora non ha prodotto un documento di indirizzo per tutte le Regioni sul tema. E' evidente quindi che sul tema sepsi, tranne in qualche Regione, siamo ancora troppo indietro. Eppure nell' Unione Europea si stimano 1,4 milioni di casi di sepsi all'anno con una mortalità variabile fra il 28% e il 50% e la mortalità aumenta del 20% per ogni ora trascorsa al di fuori di un percorso diagnostico terapeutico assistenziale corretto. Il Ministero, per garantire sicurezza a livello nazionale, deve produrre e implementare effettivamente al più presto la Raccomandazione relativa alla corretta valutazione e gestione della sepsi, nonchè valutare l'opportunità di una campagna di informazione e sensibilizzazione rivolta ad operatori e cittadini.
Guardando invece alle strutture sanitarie nelle quali si sono verificate le morti materne, quello che balza all'occhio è che sono tutte strutture ad alti volumi di attività e in particolare centri che effettuano abbondantemente più di 500 parti l’anno. Per capirci, strutture che secondo la normativa vigente, e cioè l'Accordo Stato-Regioni 16 dicembre 2010 sulla qualità e sicurezza del percorso nascita e sulla riduzione del taglio cesareo, non dovrebbero essere chiuse ma che comunque devono rispettare tutti gli standard operativi, di sicurezza e tecnologici previsti. Ad esempio sappiamo che all'interno dei punti nascita dovrebbero essere garantite la presenza h24 di personale ostetrico, medico/ginecologico, medico anestesiologico, medico pediatrico/neonatologico. Ma quanti punti nascita oggi garantiscono totalmente questi standard di personale sanitario? Oggi non abbiamo un dato preciso, ma sappiamo con certezza che questi standard non sono garantiti sempre in tutte le strutture e in tutte le regioni e soprattutto che questo tipo di informazione non è accessibile in modo trasparente a tutti i cittadini. E questo è molto grave.
L'Accordo del 16 dicembre 2010 nonostante preveda in modo chiaro e preciso le dieci linee di azione da attuare per aumentare sicurezza e qualità del percorso nascita e ridurre il ricorso al taglio cesareo entro il 2012, a oltre 5 anni di distanza è ancora fortemente disatteso e su questo c'è pochissima trasparenza nei confronti dei cittadini.
Un esempio su tutti. Secondo l'Accordo ciascun punto nascita dovrebbe predisporre e consegnare ai cittadini una Carta dei servizi, in conformità ai principi di qualità, sicurezza e trasparenza, all'interno della quale ci siano almeno le seguenti indicazioni: numero annuale di parti effettuati dalla struttura; tasso di mortalità materna e neonatale annuale della struttura; disponibilità/collegamento funzionale con STAMSTEN (Sistema di Trasporto Materno Assistito e neonatale); presenza di terapia intensiva neonatale; numero di figure professionali garantite ad ogni turno di guardia; ecc.
Praticamente tutte quelle informazioni che possono permettere ai cittadini di decidere in modo consapevole e informato dove partorire. Ma oggi tutto ciò quanto è garantito? Quanti sono i punti nascita che in Italia consegnano una Carta dei servizi di questo tipo con tutte queste informazioni? Non abbiamo un dato preciso ma certamente sappiamo che ciò è disatteso in diverse strutture sanitarie, a volte anche per paura di dichiarare formalmente l'impossibilità di rispettare gli standard di Legge. Anche questo riguarda la trasparenza in sanità e in quanto tale va garantita effettivamente. Ministero della Salute e Regioni devono fare molto di più. Per Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato questa rappresenta certamente una priorità che vedrà impegnato tutto il nostro Movimento.
Dovevano essere razionalizzati e ridotti progressivamente i punti nascita con numero di parti inferiori a 1000/anno, prevedendo eccezioni sulla base di motivate valutazioni legate alla specificità dei bisogni reali delle aree geografiche interessate e alle difficoltà di attivazione dello STAM, nonché chiusi i punti nascita con numero di parti anno inferiore ai 500.
Stando al nostro “Osservatorio civico sul Federalismo in sanità”, sono 531 i punti nascita attivi nel 2014 e di questi, secondo un recente dossier del Comitato nazionale sul percorso nascita del Ministero della Salute, ve ne sono 98 con un numero di parti inferiore ai 500/anno che secondo quanto previsto dall'Accordo dovrebbero essere chiusi.
L'11 novembre 2015 è stato emanato invece un Decreto del Ministro della Salute che prevede la possibilità di deroghe alla chiusura di questi punti nascita con volumi di attività inferiori a 500/anno, attraverso un parere motivato del Comitato Percorso Nascita Nazionale (dove non è prevista la partecipazione di rappresentanti delle Associazioni di cittadini, diversamente da quanto accade nei Comitati Regionali). Su questo, nonostante il tema e le relative scelte che si devono fare impattino fortemente sulla vita di tutti i cittadini in termini di accesso, qualità e sicurezza delle cure, è necessario precisare come al momento non risultino ancora pubblicamente accessibili le linee guida ministeriali che dovrebbero indicare i criteri in base ai quali sarà concessa o negata la deroga alla chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti anno. Su queste decisioni i cittadini pretendono la massima trasparenza e informazione per poter scegliere consapevolmente dove partorire. Quindi chiediamo che siano resi pubblici e agevolmente accessibili dal ministero e dalle Regioni tutte gli atti con i quali sono concesse o negate le deroghe.
L'Accordo del 2010 prevede inoltre l'attivazione, il completamento e la messa a regime del Sistema di trasporto assistito materno (STAM) e neonatale d'urgenza (STEN), particolarmente importante in quelle aree geografiche del Paese complesse e in quelle dove si trovano tuttora i punti nascita con meno di 500 parti/anno che dovrebbero essere chiusi.
Ebbene ad ottobre 2014 le Regioni che hanno una copertura totale del trasporto STEN e STAM sono solo 14, solo 2 Regioni in più rispetto al 2008. Hanno una copertura parziale o inadeguata del trasporto neonatale in emergenza urgenza in Emilia Romagna, Sicilia, Sardegna. La copertura è assente in Abruzzo, Umbria, Basilicata e Calabria.
Anche il servizio di Elisoccorso nell'ambito della più ampia riorganizzazione della rete ospedaliera dovrebbe essere garantito in ciascuna regione h24 (Decreto 70 del 2015 sugli standard ospedalieri) sul 100% del territorio regionale, e invece anche su questo la realtà non è così come la legge prevede. Alcune Regioni non hanno un servizio di elisoccorso (Sardegna), altre lo hanno attivo solo di giorno lasciando scoperta la notte (es. Umbria, Marche,...). I dati sulla diffusione di STAM, STEN ed elisoccorso nel nostro Paese evidenziano come oggi a fronte di una chiusura e/ riconversione di alcuni reparti/strutture sanitarie non si stia garantendo a tutti i cittadini la giusta contropartita necessaria per la garanzia di pari ed adeguati livelli di accessibilità, qualità e sicurezza delle cure su tutto il territorio nazionale.
In questo senso purtroppo vanno anche i dati disponibili sulla distribuzione delle Terapie Intensive Neonatale. Anche su questo lo standard previsto dall' Accordo del 2010, vale a dire una TIN per un bacino di utenza di almeno 5000/nati vivi, non è rispettato sia guardando il dato nazionale sia quello di alcune Regioni: la media nazionale (anno 2012) è di una TIN ogni 3880 nati vivi l'anno (quindi al di sotto dello standard previsto), mentre solo 4 Regioni (P.A. Bolzano, P.A. Trento, Marche e Sardegna) hanno una TIN per più di 5000 nati vivi. Liguria, Abruzzo, Molise e Sicilia hanno invece una TIN per un bacino di utenza compreso tra 2000-3000 nati vivi, quindi un numero di TIN superiore allo standard. Le altre Regioni sono comunque fuori standard.
Guardando invece al tema della riduzione del taglio cesareo l'Accordo richiama l'obiettivo di contenere i tagli cesarei entro il 20% del totale dei parti. Purtroppo anche su questo guardando i dati ufficiali nel 2013 la percentuale di cesarei in Italia è stata pari al 36,3% e il dato pone il nostro Paese come quello con il più alto numero di parti con taglio cesareo dell'Unione europea, oltre il doppio di quella raccomandata dall'OMS, e maggiore di circa 10 punti percentuali rispetto alla media Ue a27 (26,7% nel 2011).
Anche il sistema di monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza del Ministero della Salute, con particolare riguardo ai punti nascita (ma non solo), presenta alcune incongruenze che non ci risultano chiare. Com'è possibile che il documento di verifica adempimento LEA 2013 del Ministero della Salute, consideri “adempienti” (rispetto al percorso nascita) Regioni come ad esempio la Lombardia che oggi risulta avere attivi 8 punti nascita che dovrebbero essere chiusi ma si dichiara che queste strutture hanno comunque requisiti di qualità e sicurezza adeguati agli standard? Ancora, 21 sono i punti nascita lombardi nei quali non è garantita la presenza del pediatra e del neonatologo per tutta la giornata. In generale crediamo che il sistema di monitoraggio dei LEA per essere in grado di cogliere quello che accade realmente sui territori ai cittadini, non possa basarsi più soltanto su flusso d'informazioni fornite dai soggetti che sono “verificati” (Regioni), perché il “dichiarato” può essere non perfettamente sovrapponibile all'agito. Assume quindi sempre più peso la necessità di coinvolgere nel sistema di monitoraggio dei LEA anche soggetti “terzi”, a partire dai cittadini. Concludendo a 5 anni dall'approvazione dell'Accordo Stato Regioni sui Punti Nascita, a fronte di una sua carente attuazione, non possiamo considerare più sufficiente accettare solo l'invio di ispettori ministeriali a seguito delle morti, ma al contrario dobbiamo mettere subito in sicurezza tutto il percorso nascita (dai distretti agli ospedali) su tutto il territorio nazionale per garantire che “non accada ad altri”. Per fare questo crediamo che debba essere introdotto il Commissariamento delle Regioni inadempienti come sanzione in caso di mancato rispetto all'Accordo e un rafforzamento del sistema di monitoraggio del Ministero. Leve fondamentali per il cambiamento effettivo nel rispetto del diritto alla Salute.
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