Aziende e regioni
Secondo pilastro: il “bugiardino” degli effetti collaterali
di Nino Cartabellotta*
24 Esclusivo per Sanità24
Le restrizioni finanziarie imposte alla sanità pubblica, se da un lato hanno contribuito ad raggiungere il sostanziale pareggio di bilancio, dall’altro hanno indebolito il sistema di offerta di servizi e prestazioni sanitarie, aggravato le difficoltà di accesso alle cure ed ampliato le diseguaglianze. In questo contesto, l’enfasi (ingiustificata) sull’aumento della spesa out-of-pocket e l’allarme (procurato) sulla rinuncia a prestazioni sanitarie e sull’indebitamento delle persone puntano dritti verso un’unica soluzione: favorire l’espansione di forme alternative di copertura sanitaria da parte del complesso ecosistema dei “terzi paganti”. In altre parole, per garantire la sostenibilità del SSN, si è progressivamente fatto largo un “pensiero unico” sull’inderogabile necessità del “secondo pilastro” grazie anche all’interazione di vari fattori: frammentazione della normativa, scarsa trasparenza, carenza dei sistemi di controllo, evoluzione delle relazioni sindacali e industriali e raffinate strategie di marketing. Sull’onda dell’entusiasmo collettivo, che spesso caratterizza anche l’immissione sul mercato di una innovazione farmacologica, non vengono sufficientemente analizzati i numerosi “effetti collaterali” che il secondo pilastro rischia di produrre su vari “organi e apparati”.
Sostenibilità del Ssn
È anacronistico che in un periodo segnato dal progressivo definanziamento del SSN si preferisca destinare risorse pubbliche alle agevolazioni fiscali dei fondi sanitari, piuttosto che aumentare le risorse per la sanità pubblica. Oltre al beneficio fiscale riconosciuto ai fondi sanitari - € 3.615,20 pro-capite, ovvero quasi il doppio della spesa sanitaria pubblica pro-capite nel 2016 - si aggiungono anche premi di risultato esentasse per i lavoratori tramite contribuzione a forme di sanità integrativa entro € 3.000 euro/anno, aumentato a € 4.000 in caso di coinvolgimento paritetico, sino a € 80.000 di reddito lordo. Inoltre la diffusione dei fondi sanitari indebolisce progressivamente la difesa civica del diritto alla tutela della salute, perché oggi chi non è soddisfatto del sistema pubblico dispone di un’opzione che gli offre, in maniera sostitutiva, tutto quanto incluso nei LEA, e rischia così di rinunciare a rivendicare un diritto anche a nome degli altri.
Diseguaglianze e iniquità
Le agevolazioni fiscali previste dalla normativa esistente sono una spesa fiscale sostenuta da tutti i contribuenti; di conseguenza gli iscritti ai fondi sanitari, oltre a fruire di maggiori prestazioni, scaricano parte dei costi sui non iscritti, segmentando il diritto alla tutela della salute e alimentando iniquità e diseguaglianze. Infatti, a beneficiare prevalentemente dei fondi sanitari sono: le persone che hanno un lavoro stabile; i lavoratori dipendenti rispetto ai liberi professionisti; le categorie di lavoratori con maggiori capacità negoziali e interessati a contrattare integrazioni salariali sotto forma di fringe benefit; i lavoratori con redditi più elevati, perché il valore della deduzione aumenta all’aumentare dell’aliquota marginale; i residenti in alcune aree del Paese, perché gli iscritti ai fondi sanitari non sono uniformemente distribuiti sul territorio nazionale: 38,9% nel Nord-Ovest, 14,9% nel Nord-Est, 33,4% nel Centro, 12,8% nel Sud e isole.
Aumento della spesa sanitaria
I promotori del “secondo pilastro” puntano sulla loro presunta capacità di aumentare l’efficienza nell’acquisizione di prestazioni sanitarie, rispetto ai singoli soggetti, ma tacciono sulle innumerevoli transazioni amministrative che devono gestire, con conseguente riduzione del value for money. E’ proprio l’Associazione Nazionale per le Imprese Assicuratrici a riportare che le spese di gestione risultano pari al 25% circa dei premi contabilizzati, confermando gli elevati costi di gestione; inoltre i fondi sanitari, obbligati a mantenere un fondo di garanzia pari a circa 1/3 della raccolta, devono “ri-assicurarsi” con solide compagnie assicurative previa cessione di una percentuale dei premi. Pertanto, la sanità intermediata da “terzi paganti”, oltre a non ridurre la spesa out-of-pocket, aumenta la spesa privata totale con un saldo negativo sui bilanci delle famiglie e, in quanto induttore di prestazioni inappropriate, rischia di aumentare anche la spesa sanitaria pubblica per gestire fenomeni di overdiagnosis e overtreatment.
Sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie
Nel mercato della salute l’aumento dell’offerta induce un aumento della domanda per tre ragioni fondamentali: pagamento a prestazione, medicalizzazione della società e limitata presenza di meccanismi di verifica dell’appropriatezza. In tal senso, un esempio clamoroso è rappresentato dai cosiddetti “piani di prevenzione” proposti dal secondo pilastro, caratterizzati da un estremo livello di inappropriatezza, per tipologia e frequenza di indagini diagnostiche, con il solo obiettivo di aumentare il numero di prestazioni eseguite, quasi esclusivamente, presso strutture private convenzionate. Gli effetti collaterali per i cittadini e per il SSN sono numerosi: aumento dei test diagnostici inappropriati e dei fenomeni di overdiagnosis e overtreatment; aumento della domanda di servizi e prestazioni sanitarie e del livello di medicalizzazione della società; interferenza con le policy di appropriatezza prescrittiva incluse nel DPCM sui LEA; contraddizione con le raccomandazioni di linee guida elaborate ai sensi dell’art. 5 della L. 24/2017 e potenziale incremento dei contenziosi medico-legali.
Frammentazione dei percorsi assistenziali
Gli sforzi per garantire la continuità clinico-assistenziale tra setting differenti del SSN, secondo criteri di appropriatezza clinica e organizzativa, rischiano di essere compromessi dall’espansione del secondo pilastro. In particolare, l’inserimento di erogatori di prestazioni esclusi dalle reti clinico-assistenziali rischia di determinare, oltre a duplicazione degli interventi sanitari, una frammentazione della continuità assistenziale. Infatti, se le iniziative istituzionali mirano a integrare le reti attraverso una responsabilizzazione dei vari attori del sistema, i servizi offerti dai fondi sanitari rimangono confinati nella relazione tra gestore e cliente.
In questo contesto di (inconsapevole?) e contagioso entusiasmo che ha generato una (quasi) unanime convergenza d’interessi sul finanziamento del SSN da parte dei “terzi paganti”, il 3° Rapporto GIMBE ha recentemente incluso l’espansione incontrollata del secondo pilastro tra le macro-determinanti della crisi di sostenibilità del SSN. Non si tratta affatto di una posizione anacronistica condizionata da pregiudizi ideologici, ma di una ponderata valutazione evidence-based: infatti oggi dati ed evidenze, oltre a documentare che la sanità “integrativa” è diventata prevalentemente “sostitutiva”, dimostrano che il secondo pilastro ha un tale profilo di “tossicità” che, se fosse un farmaco, qualsiasi agenzia regolatoria ne avrebbe già imposto il ritiro dal mercato.
(*) Presidente Fondazione Gimbe
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